La scorsa domenica, al mattino sono andata al mercato di Chiusa Pesio, una piccola frazione vicino al mio paese. È un mercato che conserva ancora il fascino dei tempi passati: non le file ordinate e impersonali dei supermercati, ma una piccola piazza animata di voci, profumi e colori. Da una parte ci sono le bancarelle dei contadini locali, con i loro prodotti genuini, spesso raccolti poche ore prima, ancora sporchi di terra. Dall’altra, quelle che io chiamo le bancarelle “artificiali”: frutta e verdura lucide, tutte uguali, provenienti dai grandi mercati generali. Perfette a vedersi, ma senza anima. Io, ogni volta, scelgo senza esitazione i primi: perché lì, tra quelle cassette di legno e quelle mani segnate dal lavoro, si trova la verità della campagna.
Quel giorno, mentre camminavo tra i banchi, il mio sguardo è stato catturato da uno in particolare. Il banco del contadino era curioso, diverso dagli altri: un po’ disordinato ma pieno di vita. Ceste intrecciate colme di mele piccole e punteggiate, zucche irregolari, mazzetti di erbe aromatiche legati con lo spago, radici appena raccolte. Non c’era nulla di perfetto e proprio per questo tutto mi sembrava bellissimo. Mi sono fermata attratta da quelle mele che non avevo mai visto prima.
Il contadino, un uomo semplice, con lo sguardo diretto e un sorriso appena accennato, mi ha osservata. Poi, senza tante parole, ha preso un sacchetto di carta e ha cominciato a riempirlo per me. Non una mela, non due, ma un sacchetto intero, colmo fino all’orlo. Un gesto generoso che mi ha colpito nel profondo: era come se volesse regalarmi non solo i suoi frutti, ma anche un pezzo della sua storia.
Con un pennarello in mano, si è chinato sul sacchetto per scrivere il nome della varietà. Ma si è fermato. Mi ha detto il nome in piemontese, con la naturalezza di chi lo conosce da sempre. Poi ha scosso la testa: “In italiano non saprei come chiamarle…”. Io, che non le avevo mai viste prima, non potevo aiutarlo. È stato un attimo sospeso, quasi magico. Un frutto che resiste, che esiste, ma che ha perso il suo nome nella lingua comune, rimasto vivo solo nel dialetto e nella memoria contadina.
Poi mi ha raccontato la loro origine. Quelle mele provengono da un vecchio albero dimenticato in fondo al campo. Nessuno lo cura, nessuno lo pota, nessuno lo guarda davvero. Eppure, anno dopo anno, quell’albero resiste al tempo e alla solitudine, continuando a donare i suoi frutti. E sono proprio i suoi, i frutti migliori: non grandi e perfetti, ma dolci e profumati. Mentre il contadino parlava, io immaginavo quell’albero: il tronco nodoso, i rami contorti, forse piegati dal vento e dalle stagioni e tuttavia ancora capaci di offrire generosamente la loro ricchezza.
Ho stretto quel sacchetto tra le mani come se fosse un tesoro. Perché lo era davvero: non era solo frutta, era un dono prezioso, un frammento di un mondo che sta scomparendo, di un sapere antico che rischiamo di perdere. Un mondo fatto di alberi dimenticati che, silenziosi, continuano a vivere e a nutrire, anche quando nessuno più se ne prende cura.
Quando sono tornata a casa e ho posato le mele sul tavolo, ho provato una strana emozione. Le ho guardate a lungo, pensando che non potevo trattarle come un ingrediente qualunque. Meritavano rispetto. Meritavano di restare protagoniste. Così ho deciso di cucinarle nel modo più semplice e sincero: intere, adagiate in una pirofila, con solo un po’ di zucchero di canna sopra e un goccio d’acqua sul fondo. Nessuna spezia, nessun condimento invadente: solo il calore del forno a trasformarle lentamente in un dolce povero, genuino, che profuma di casa, di campagna e di gesti antichi.
Controllo mele: scegli 4 mele piccole/medie, sode, senza ammaccature profonde. Le varietà antiche/regionali reggono meglio il forno.
Temperatura mele: se arrivano dal frigo, tirale fuori 15–20 minuti prima (cuociono più uniformemente e la buccia non si spacca).
Attrezzi: pirofila in ceramica o vetro (ca. 20×30 cm), coltellino a punta, cucchiaino, cucchiaio/pennello da cucina, guanti da forno, stecchino lungo.
Forno: preriscalda a 180°C statico (170°C ventilato). Evita teglie metalliche sottili: scaldano troppo rapido il fondo.
Versa ½ bicchiere di acqua (≈100 ml) sul fondo: deve velare la base, non sommergere le mele.
Perché: crea vapore, evita che le mele si attacchino e aiuta a formare un sciroppo leggero con zucchero e succhi.

Lava e asciuga con panno pulito (non sbucciare).
Incisioni anti-spacco: con la punta del coltello pratica 4–6 micro incisioni (1–2 mm) attorno all’“equatore” di ogni mela e 2–3 forellini sulla calotta.
Perché: la buccia, soprattutto nelle varietà antiche, è più elastica ma può “tirare” in cottura; i micro-tagli evitano crepe ampie.
Stabilità: se una mela balla, pareggia appena la base (un velo di polpa). Non eccedere: non deve aprirsi la camera dei succhi.
Variante consentita (ma non necessaria): puoi togliere il torsolo con l’attrezzo apposito per accorciare la cottura di 3–5 minuti. In questa ricetta lo lasciamo per mantenere meglio la forma.
Prepara una teglia rivestita di carta forno. Disponi le patate in un unico strato, evitando di sovrapporle o ammassarle: se restano troppo vicine, non riusciranno ad arrostire e finiranno per cuocere a vapore. L’aria calda del forno deve circolare tra i pezzi per garantire la croccantezza.
Sistema le mele in piedi, con 1–2 cm di spazio tra l’una e l’altra.
Cospargi la sommità di ogni mela con 1 cucchiaino colmo di zucchero di canna (6–8 g; totale ≈25 g). Lascia cadere un pizzicchino anche sul fondo.
(Facoltativo) un fiocchetto di burro (≈5 g) su ciascuna mela per una glassatura più morbida. La versione “pura” resta senza.
Trucchetto anti-bruciacchiature: se lo zucchero è molto grezzo, schiaccialo con il dorso del cucchiaino sulla calotta per farlo aderire; brucerà meno in punta.
Inforna a metà altezza. Imposta un primo timer a 20 minuti.
A 20 minuti – nappatura 1: apri, inclina leggermente la pirofila e nappa (versa) ogni mela con il liquido ambrato del fondo usando un cucchiaio/pennello. Ruota la pirofila di 180° per uniformare la doratura. Richiudi subito.
A 30 minuti – check consistenza: lo stecchino deve entrare fino al centro con leggera resistenza; se è ancora “croccante” al cuore, prosegui.
A 35–40 minuti – nappatura 2 (se serve): ripeti la nappatura. Le mele saranno pronte quando:
la buccia è lucida e leggermente raggrinzita,
lo stecchino entra senza strappare,
Gestione liquidi:
Vedi poco liquido e lo zucchero scurisce? Aggiungi 1–2 cucchiai di acqua calda sul bordo della pirofila (non sulle mele).
Vedi troppo liquido? Negli ultimi 5 minuti apri appena lo sportello del forno (spiffero sottile) per favorire l’evaporazione, oppure alza a 190°C gli ultimi 3 minuti.
Ventilato: 170°C per 30–35 minuti. Controlla 5 minuti prima: asciuga di più, quindi sorveglia lo sciroppo.

Sforna e non toccare per 5–10 minuti: il calore residuo rilassa la polpa e lo sciroppo si assesta.
Non coprire ermeticamente (condensa = pelle viscida). Se vuoi mantenerle molto calde, appoggia un foglio di alluminio a tenda.
Solleva le mele con una paletta (sostieni la base) e nappa con 1–2 cucchiai di sciroppo del fondo.
Perfette da sole; se vuoi, accompagna con yogurt bianco o una pallina di gelato alla vaniglia (ma la versione pura esalta meglio il carattere delle mele antiche).
Mentre le mele cuociono in forno, il profumo che si diffonde in cucina è inconfondibile: dolce, leggermente caramellato, con quel tocco quasi selvatico che solo i frutti antichi sanno regalare. Per capire se sono pronte non serve la precisione da laboratorio, basta un po’ di attenzione e un pizzico di sensibilità. La buccia deve essere tesa e leggermente raggrinzita, lucida di sciroppo; lo stecchino entra nella polpa senza fatica, ma si sente ancora una lieve resistenza al cuore. Sul fondo della pirofila si raccoglie un liquido ambrato e profumato: acqua, zucchero e i succhi naturali della frutta fusi insieme.
Se c’è un segreto in questa ricetta è proprio il tempo di riposo: quei cinque, dieci minuti fuori dal forno in cui le mele sembrano fermarsi e respirare. In realtà è il momento in cui i succhi interni si ridistribuiscono, rendendo la polpa succosa e uniforme, e lo sciroppo si addensa leggermente. Saltare questo passaggio sarebbe un peccato: il risultato sarebbe meno armonioso, quasi incompleto.
Ci sono piccoli errori che possono capitare, soprattutto la prima volta. Troppa acqua sul fondo rischia di trasformare le mele in una sorta di frutta bollita, mentre senza incisioni sulla buccia possono aprirsi in modo irregolare. Anche la fretta non aiuta: un forno troppo caldo colora la superficie troppo in fretta, lasciando però il cuore crudo. Ma non c’è nulla che non si possa correggere: basta aggiungere un filo d’acqua se lo sciroppo asciuga troppo, abbassare la temperatura se si colora velocemente, o avere la pazienza di lasciarle riposare.
Ed è forse questo il bello: questa ricetta non chiede perfezione, ma attenzione. Non serve coprire il sapore con mille aromi o spezie, perché le mele raccontano già da sole la loro storia, quella di un albero dimenticato che continua a regalare i suoi frutti migliori. A tavola, quando le porti calde e lucenti di sciroppo, ti accorgi che in fondo bastano davvero poche cose: una mela, un po’ di zucchero, un goccio d’acqua e il calore del forno. Il resto lo fa la natura, con tutta la sua generosità.
Con questa ricetta semplice e profumata, vi ho portato un pezzetto della mia domenica al mercato e della magia di quell’albero dimenticato che ancora regala frutti generosi. Spero che queste mele al forno vi portino in casa lo stesso calore che hanno portato a me.
Un abbraccio dalla mia cucina,